Il 3 dicembre 2025 si è tenuta la conferenza stampa di lancio della campagna unitaria dell’USS Ticino e Moesa contro l’iniziativa Anti-RSI “200 franchi bastano”, dove vi è stata una forte presa di posizione corale da parte di tutte le federazioni sindacali.
In questo contesto, Syndicom ha evidenziato il ruolo fondamentale dei media privati nel panorama mediatico svizzero e di come l'indebolimento del servizio pubblico radiotelevisivo andrebbe a danneggiare anche loro.
UNIA ha messo l’accento sull’importanza del servizio pubblico per i lavoratori del settore privato, ricordando le ricadute sociali ed economiche che una tale riduzione avrebbe sul nostro territorio.
Anche VPOD ha parlato di come l’attacco al servizio pubblico non riguardi solo la radiotelevisione, ma si inserisca in un contesto più ampio che tocca anche sanità, istruzione e altri servizi essenziali.
Il sindacato dei trasporti SEV ha infine ricordato le grandi battaglie in difesa delle officine FFS e del traffico merci, sottolineando come la difesa del servizio pubblico sia una questione di interesse collettivo e di giustizia sociale.
Qui di seguito il l'intervento integrale di SSM:
Intervento Riccardo Mattei, segretario Regionale del Sindacato Svizzero dei Media, alla conferenza stampa per il lancio della campagna “non lasciamo segare a metà la NOSTRA RSI” del 02.12.2025
Buongiorno a tutte e a tutti.
Parlo a nome del Sindacato Svizzero dei Media, SSM. Ed è significativo che oggi il nostro intervento sia il primo tra quello delle federazioni USS: perché il mondo del servizio pubblico radiotelevisivo, e chi ci lavora, si trova nel punto più critico degli ultimi decenni.
La situazione che viviamo è già gravissima, e peggiora di mese in mese. Negli ultimi due anni, la RSI ha dovuto sopprimere oltre 60 posti di lavoro a tempo pieno nella Svizzera italiana, a causa della riduzione degli introiti pubblicitari e dei mancati rincari. Da oggi al 2029 si stima un’ulteriore perdita di almeno altri 100 posti di lavoro, conseguenza diretta dell’ordinanza del Consiglio federale del 19 giugno 2024 che porterà alla progressiva riduzione del canone a 300 franchi e all’innalzamento della soglia d’esenzione delle imprese da 500'000 a 1,2 milioni di franchi.
Sul piano nazionale, questo significa oltre 900 posti di lavoro a tempo pieno in meno. Una cifra che cresce se parliamo di licenziamenti effettivi. È la conseguenza una riduzione del budget della SSR del 17%, pari a 270 milioni di franchi.
E tutto questo senza considerare l’iniziativa “200 franchi bastano”, che da qui in avanti chiamerò con il suo vero nome: iniziativa anti-RSI.
La SSR e la RSI stanno già rispondendo da anni alla richiesta di ridimensionarsi. Basti pensare che nel 2018 il canone era di oltre 450 franchi. Oggi siamo già a 335. Presto saremo a 300.
Ma con l’iniziativa anti-RSI non si parla più di ridimensionamento. Non si parla più di risparmio. Si parla di un arbitrario dimezzamento del budget della SSR, ed è evidente che con la metà delle risorse non è possibile mantenere tre unità produttive regionali come le conosciamo oggi.
Per la Svizzera italiana questo significa una cosa molto semplice: la fine di una RSI che produce nel territorio della Svizzera italiana. L’esempio più ottimista circolato in queste settimane paragona il nostro futuro a quello che oggi è la RTR dei nostri amici romanci: una piccola redazione, niente di più.
Non parliamo di un rischio astratto. Parliamo della centralizzazione della produzione oltre Gottardo. Parliamo della perdita di un presidio produttivo che ha formato generazioni di professionisti e raccontato per decenni questo territorio.
E allora dobbiamo chiederci: cosa perdiamo davvero?
Perdiamo migliaia di posti di lavoro diretti e indiretti: non solo giornalisti, ma tecnici, cameraman, montatori, registi, grafici, truccatori, scenografi, informatici, amministrativi, freelance, aziende di servizio, fornitori. Un intero ecosistema professionale che esiste grazie ad un servizio pubblico forte.
Perdiamo un capitale culturale insostituibile. La RSI è uno dei principali produttori culturali della Svizzera italiana: senza produzione locale spariscono documentari, archivi, memoria storica, musica, fiction, educazione, sport. Sparisce chi ci dà la voce come regione, soprattutto sul piano Nazionale.
Perdiamo un luogo di formazione fondamentale. La RSI è uno dei principali poli formativi del territorio per apprendisti, stagisti, giovani tecnici e creativi. Senza produzione, questo ruolo scompare.
Perdiamo indotto economico e gettito fiscale. Tagliare la RSI significa ridurre le entrate per Comuni e Cantone, aumentare la disoccupazione qualificata e indebolire ulteriormente un tessuto economico già fragile.
E perdiamo, soprattutto, il diritto di essere raccontati. Senza la RSI che racconta il Ticino e la Svizzera italiana, chi racconterà le nostre emergenze, le nostre elezioni comunali, la nostra cultura, la nostra quotidianità? Una redazione a Zurigo?
Tutto questo non riguarda solo i lavoratori e le lavoratrici. Riguarda la democrazia e la sovranità del nostro Paese. Il servizio pubblico è una garanzia contro la disgregazione sociale, contro l’aumento delle fake news, contro la manipolazione dell’informazione a fini economici o politici. La sua forza viene dal controllo popolare, di cui anche l’iniziativa Anti-RSI è chiara dimostrazione, e dall’indipendenza finanziaria garantita dal canone pagato da cittadini e aziende.
Non è un caso che in tutta Europa e nel mondo i media pubblici siano sotto attacco: sono gli unici che non possono essere controllati da oligarchi, da multinazionali dell’informazione o da poteri economici. Indebolire la SSR significa indebolire gli anticorpi democratici del nostro Paese.
E ricordiamolo con chiarezza: la Svizzera italiana è la più esposta di tutte. Il canone è un pilastro della coesione nazionale. Senza solidarietà finanziaria, le regioni minoritarie vengono schiacciate. Siamo il 4% del Paese, ma abbiamo diritto allo stesso livello di informazione, cultura, sport, intrattenimento e pluralismo. Senza questo principio, la Svizzera non è più Svizzera.
Non è una battaglia ideologica. È una battaglia per il territorio. Il servizio pubblico non è né di destra né di sinistra. E la RSI non sarà “più di destra” o “più di sinistra” con 200 franchi: semplicemente non sarà più qui.
E una volta persa la sua presenza sul nostro territorio, perderemo anche la possibilità di criticarla e di dibatterne democraticamente.
Infine: con i tristi record dei salari più bassi della Svizzera e i premi di cassa malati più alti, la perdita di uno dei principali datori di lavoro della regione accelererebbe ulteriormente questa spirale al ribasso, portando la Svizzera italiana a confermarsi, forse definitivamente, come fanalino di coda della Confederazione.
Per questo diciamo con fermezza: non stiamo difendendo un’azienda.
Stiamo difendendo un diritto democratico fondamentale.
Il diritto della Svizzera italiana a esistere come comunità culturale e linguistica.